Il giudice a dondolo

di Gianni Rodari

Gianni Rodari, Il giudice a dondolo, Einaudi, 2013

 È una storia di responsabilità quella raccontata da Gianni Rodari ne “Il giudice a dondolo”, una delle numerose storie fantastiche e umoristiche scritte dal grande scrittore e giornalista. Il personaggio principale di questa storia è un giudice che non vuole assumersi nessuna responsabilità del genere umano. Un giudice che è stanco di giudicare persone che non sembrano cattive, per questo motivo riguardo a un imputato dice “Anche quell’imputato era così decisamente colpevole eppure altrettanto e assolutamente innocente” che alla fine, lo stesso giudice decide di ritirarsi dalla specie umana.

Il modo usato per uscire dall’umanità è radicale ma allo stesso tempo insolito. Un modo che permette a Rodari di giocare con i paradossi e rendere così le storie assurde. Seppure delle assurdità lo sviluppo del racconto è coerente e dunque verosimile, per questo nel racconto il giudice conquista a mano a mano possibili spazi di libertà.

La storia si svolge in tre posti dove si concretizza il piano di de-responsabilizzazione dal genere umano:

– nell’ufficio dove scrive la lettera di dimissioni dal mestiere da giudice

– al comune per farsi cancellare dall’anagrafe

– a casa dove si realizza in modo insolito la sua uscita dal genere umano.

 Come in un crescendo verso la libertà le dimissioni da giudice non solo libereranno dalle sue responsabilità in quanto le sentenze saranno pronunciate lo stesso “in nome del popolo”, di conseguenza anche a nome  suo. Per questo decide di scrivere al Comune  perché vuole  essere cancellato dall’anagrafe, non vuole più essere un cittadino della Terra ma al massimo del pianeta Plutone.

 Alla fine anche le sembianze d’uomo gli risultano strette allora per sottrarsi alle sue responsabilità si trasforma in una sedia a dondolo, in qualcosa di talmente inanimato che potrebbe liberarlo veramente dalle responsabilità che l’angosciano. Questa trasformazione lascia il lettore attonito.

 Sicuramente la libertà non può essere espressa da un oggetto, e tanto meno da una sedia a dondolo, in quanto quest’ultima  di fatto si trova in contrapposizione con qualsiasi espressione di sentimento dunque, anche con  quello di libertà. Sembra una contraddizione ma forse non lo è.

 Allora quale può essere il messaggio dell’autore se non quello di invitare ciascuno di noi a non fare le cose che non amiamo e fare, invece, quelle che apprezziamo? Forse è questa la  conquista di libertà, quella che si può trovare solo nella nostra possibilità di poter scegliere.

[Recensione a cura della classe III media del Collège Les Hauts Grillets di Saint Germain en Laye, Francia]