Intervista a Guido Quarzo

a cura degli alunni delle classi II, III, IV e V primaria del Lycée International di Saint Germain en Laye

Saint Germain en Laye (Francia) 18/02/2021

Pubblichiamo le risposte ad alcune domande rivolte a Guido Quarzo, scrittore di libri per bambini vincitore del prestigioso Premio Andersen e due volte finalista del Premio Strega Ragazzi, nel corso degli incontri online tenutisi per le classi II, III, IV e V primaria ai primi di febbraio 2021.

Durante le vacanze di ottobre e dicembre abbiamo letto due tra i suoi libri per classe: “Guarda, c’è un porcello che vola!”, “Grande, piccolo, così così” (II elementare); “Fuori il rospo Briz!”, “Il bambino, la volpe e il buio” (III elementare); I”l segreto di Malaselva”, “La città dei topi” (IV elementare); “La meravigliosa macchina di Pietro Corvo”, “Tre passi nel mistero” (V elementare). Gli incontri sono stati veramente emozionanti e l’autore si è rivelato disponibile e attento a venire incontro a qualsiasi nostra curiosità. Lo ringraziamo per questo.

Buongiorno Guido, siamo i bambini di II, III, IV e V primaria del Lycée International di Saint Germain en Laye, Francia.

Vorremmo sapere quanto tempo impieghi per scrivere un libro

Esistono due tipi di scrittori che scrivono in due modi molto diversi: uno si alza il mattino e comincia a scrivere. Lo fa tutti giorni. Scrive di getto tutto quello che gli viene in mente, poi sceglie cosa tenere e cosa no. Il secondo passa il tempo a pensare cosa scrivere e poi scrive un pezzetto piccolo, quello che funziona. Non scrive tutti i giorni. La scelta la fa prima nella sua testa. Io sono così.

È difficile perciò capire quanto tempo ho impiegato a scrivere la storia, perché scrivo poco alla volta, non tutti i giorni. Dipende anche dalla lunghezza di una storia e poi bisogna rileggere quello che si scrive, Per alcune storie avrò messo una settimana, dieci giorni. Per storie più lunghe ci vuole più tempo, mesi o anche un anno.

Come scegli il nome dei personaggi?

I nomi dei personaggi possono essere di due generi: 1. dipendono dal ruolo dei personaggi (un mostro è obbligatorio che abbia un nome da mostro!) e devono avere un senso musicale nella storia, che deve essere letta a voce alta; 2. per gli altri nomi si immagina il personaggio e e si vede qual è il nome più giusto per chiamarlo. Alcuni personaggi vogliono proprio essere chiamati in un certo modo perché la loro figura si associa bene con quel nome (Mastino va bene per un cavaliere medievale, Biancaluna per una principessa).

Perché hai voluto diventare scrittore?

Devono piacerti le storie, devi amare la lettura o sentir raccontare le storie. In terza elementare il maestro ci leggeva tante storie e io, come maestro, leggevo tanto ai miei alunni. Ho incominciato a inventarle per il teatro e solo dopo ho trasformato queste idee per spettacolo in storie da leggere. Mi sono sempre divertito tanto a raccontarle.

Quale preferisci tra i libri che hai scritto?

I libri che ho scritto sono talmente diversi tra loro che è impossibile sceglierne uno. Li preferisco tutti! Alcune storie hanno a che fare anche con la mia storia personale: esse dipendono da quello che si è vissuto e le più coinvolgenti sono proprio quelle che hanno le radici in ciò che mi è capitato personalmente.

Come ti vengono in mente le storie?

Perché stiamo in mezzo alla gente. Come nel mare nuotiamo nell’acqua e ci sono i pesci, le alghe,…noi nuotiamo in un mare di storie. Gli scrittori osservano e ascoltano le storie che gli altri raccontano o che accadono o che si leggono nei giornali. A furia di sentire storie, ne vengono in mente nuove. Ma le storie vengono in mente se si ha l’intenzione di raccontare una storia. Lo scrittore è diverso dagli altri perché si chiede se la storia che sente può servirgli per crearne un’altra.

Quando eri piccolo assomigliavi a qualche personaggio delle tue storie?

Da grande ho scritto delle storie con personaggi che assomigliano un po’ a me da piccolo, in particolare due protagonisti de “Il bambino, la volpe e l’uva” e “1958. Le storie in tasca”.

Scrivevi già da piccolo?

A scuola non ci facevano scrivere storie come volevamo noi, ma c’erano temi fissi. Non si sceglieva cosa scrivere. Non mi veniva voglia di scrivere per conto mio. La scrittura era un compito. Preferivo giocare. Inventavo delle storie, ma giocate: far finta di …

Perché gli autori sono spesso insegnanti?

Gli scrittori per ragazzi, ma anche per adulti, sono spesso insegnanti perché nel mondo della scuola la scrittura è importante. È un mestiere in cui i libri sono fondamentali. Ma non è una regola. Primo Levi era un chimico, ad esempio.

A chi ti ispiri per tratteggiare il carattere dei personaggi?

Per descrivere carattere e comportamento dei personaggi si fa riferimento a chi si è conosciuto nella vita vera.

Le storie che scrivi sono tutte inventate o ci sono riferimenti alla realtà?

È difficile rispondere. È una specie di minestrone in cui si trova molto di inventato e qualcosa di vero o viceversa. Nell’inventare non si può fare qualcosa di completamente nuovo, bisogna partire da quello che si conosce. La nostra testa è come uno scatolone: dobbiamo riempirlo o osservando le persone, ascoltandole, o leggendo, guardando i film, andando a teatro. Dobbiamo essere attenti.

Quando hai capito che il tuo mestiere sarebbe stato quello dello scrittore?

Queste cose succedono piano. Quando mi hanno pagato per comprare le mie storie. Quando ho visto che c’erano delle persone che si divertivano a leggere le mie storie e ne chiedevano altre. L’ho capito presto, quando ho visto che le mie storie funzionavano per il teatro, per gli spettacoli dei ragazzi.

Scrivi tutti i libri da solo?

La maggior parte delle volte scrivo da solo, altre a quattro mani con un’amica e collega, Anna Vivarelli. Scrivere insieme è divertente: bisogna chiacchierare tantissimo, poi ognuno scrive pezzettini che passa all’altro, che li corregge e li ripassa. Alla fine la pagina è scritta da entrambi.

A quale personaggio sei più affezionato?

Un personaggio che amo è Mastino, cavaliere medievale brutto e cattivo, assassino su commissione. Lui non ha paura di niente, tutti hanno paura di lui. Si innamora di una principessa particolare, adatta a lui.

I libri da te scritti hanno un messaggio o scrivi anche solo per il piacere di farlo?

Si deve partire col raccontare per il gusto di raccontare. Bisogna solo raccontare una storia senza pretendere di insegnare qualcosa a qualcuno. Poi nelle storie si descrivono cose giuste e sbagliate e così, inevitabilmente, si dà un giudizio che non deve essere detto, ma stare nella storia. Non si deve avere l’intenzione di raccontare una storia per insegnare qualcosa, ma dalla storia si può apprendere e i lettori decidono cosa ricavarne.

In quale luogo preferisci scrivere?

Generalmente scrivo gli appunti nel mio studio, alla mia scrivania, però la storia uno se la porta dietro nella testa. Ci penso anche quando vado in giro. Per esempio ho scritto molte pagine nei treni. Nello studio raccolgo le idee per trovare le parole per la storia.

A chi fai leggere per la prima volta un tuo nuovo libro?

Prima che una storia diventi un libro passa anche un anno. I lettori per le mie storie sono tre, quattro amici che mi fanno critiche, mi dicono se è scorrevole, se la storia funziona, un’altra scrittrice, Anna Vivarelli, con la quale ci scambiamo i testi, mia moglie che era maestra. Nella casa editrice poi ci sono persone che leggono la storia in modo professionale per l’editing, per prepararla perché diventi un libro. Io non faccio libri, ma le storie che gli editori trasformano in libri.

C’è un dettaglio/personaggio che ritorna in tutti i tuoi libri?

Un tema che ritorna in tutte le mie storie è il trascorrere del tempo e il suo significato. Il tempo, se cerco di spiegarlo, non so cos’è. Esso cambia le cose e noi siamo come immersi in un fiume che ci trascina. Io uso il tempo per costruire storie.

Puoi spiegarci la dedica dei tuoi libri?

Le dediche sono un gioco: si tratta di premesse che ho inventato o false citazioni.

Qualcuno ti ha incoraggiato a scrivere?

Ho avuto un forte incoraggiamento quando ho frequentato un scuola di giornalismo perché mi hanno detto che ero bravo nella scrittura. L’incoraggiamento maggiore è venuto dai lettori a cui piacevano le storie e che mi invitavano a pubblicarle. A quel punto ho cercato un editore.

Quando cominci una storia, hai già in mente il finale?

Abbastanza. Penso al finale quando comincio a scrivere una storia. Scrivendo poi vengono in mente molte idee, nuovi personaggi o soluzioni e allora ci si accorge che il finale può essere modificato o migliorato. Il finale pensato all’inizio è come un cartello stradale che dice: “Vai in quella direzione!”. Poi per strada, magari, si imbocca una via laterale…

Da piccolo leggevi molto?

Quando facevo le elementari c’era meno scelta di libri per ragazzi. Io leggevo, ma soprattutto amavo ascoltare le storie a puntate lette dal mio maestro (Jules Verne, Salgari, Kipling…). Ho letto tantissimo con le orecchie. Quando avevo la vostra età ho letto montagne di fumetti.

Qual è il tuo scrittore preferito?

Ho tanti scrittori preferiti, sia scrittori per ragazzi che per grandi. Quando si scrive si passa più tempo a leggere i libri degli altri che a scrivere. È importante continuare a confrontarsi. Mi piace molto Italo Calvino, perché la sua scrittura è veloce, sintetica, pulita, lineare. Tra gli scrittori per ragazzi amo molto Pinin Carpi, autore de Le avventure di Lupo Uragano.

Quali sono i tuoi consigli per scrivere una storia avvincente?

Non esistono istruzioni per scrivere una storia avvincente, perché le storie sono tali rispetto a chi le legge. Non esiste una storia che piaccia a tutti. Mi sento di consigliare di non scrivere storie per far contenti i lettori, ma storie che si pensa valga la pena di raccontare. Chi legge tanto si accorge subito se la storia è stata scritta perché era necessaria. Inoltre è bene non innamorarsi delle proprie parole: una frase o un’idea non sono giuste solo perché sono venute in mente a noi. Infine è importante leggere quello che scrivono gli altri per capire cosa piace e cosa non va bene a noi. La lettura è fondamentale.

Quale sensazione provi non appena finisci di scrivere un libro?

Difficile rispondere: scrivere una storia è un’attività lunga, che richiede tempo. Quindi si alternano moltissime emozioni: soddisfazione, nervosismo, sconforto, blocco dello scrittore. Nel momento in cui è finita ci si sente soddisfatti, è una sensazione simile a quella che prova un artigiano quando finisce di fabbricare un meccanismo che funziona.

Per scrivere usi carta e penna o il computer?

Ho iniziato quando non c’erano computer, alla fine degli anni ’80, e per scrivere si usava la macchina da scrivere, con una tastiera rumorosa, metallica. Alla fine bisognava ribattere per correggere. Si andava in copisteria a fare le fotocopie, che si mandavano con la posta all’editore. Era tutto su carta. Con l’arrivo del computer è moto più semplice lavorare, copiare, stampare, inviare. Il lavoro fisico si è semplificato. Rimane anche la scrittura a mano: fogli e quaderni, se sono fuori, mi aiutano ad annotare delle idee che, arrivato a casa, trascrivo al computer.

Grazie Guido, sei stato molto disponibile e chiaro nelle tue risposte. Speriamo di incontrarci di nuovo presto!